I soci possono finanziare la societa' versando somme di denaro, definibili quale capitale di credito ed allocati al passivo, sub. D 3), dello stato patrimoniale ex art. 2424 c.c.. A tali prestiti risulta applicabile, secondo orientamento giurisprudenziale consolidato (ad es. Tribunale di Roma, sentenza dd. 11.2.1995), la disciplina del mutuo (ex art. 1815 c.c.). I soci che hanno effettuato tali prestiti godono del diritto alla restituzione di quanto prestato ad una certa scadenza ed alla percezione degli interessi, almeno legali, salva una diversa disposizione delle parti.

I soci possono, inoltre, provvedere a compiere dei versamenti in favore della societa', diversi dai sopradescritti prestiti effettuati con finalità di restituzione.
Tali versamenti hanno natura di conferimento di capitale di rischio e non impongono alla societa' un obbligo di restituzione, se non in ipotesi meramente eventuali, quali lo scioglimento e la liquidazione della societa' ed il recesso del socio, sempre che le somme risultino residuare nel bilancio di liquidazione.
Questi versamenti, quindi, non sono produttivi di interessi e non sono generalmente restituibili durante la vita della societa'.
E' possibile distinguere nella prassi tra tre diversi tipi di versamento che i soci possono attuare, a seconda della loro finalità.

1. Versamenti in conto capitale o a fondo perduto.

Tali operazioni sono realizzate indipendentemente da un programmato o futuro aumento di capitale. Questi finanziamenti sono effettuati spontaneamente dai soci, con accettazione anche tacita da parte della societa', e sono finalizzati ad immettrere nella societa' nuovi mezzi finanziari, così da rafforzare il patrimonio sociale, nella sua parte disponibile; tali versamenti da un punto di vista contabili vanno allocati tra le riserve di patrominio netto e costituiscono riserve di capitale.
Le somme così versate non costituiscono un debito rimborsabile da parte della societa' e diventano di proprietà della stessa, che può disporne liberamente e senza alcun vincolo di destinazione.
L'organo amministrativo (o l'assemblea dei soci) della società può così decidere di utilizzare tali versamenti per aumentare gratuitamente il capitale sociale.

2. Versamenti in conto aumento di capitale

Questi versamenti sono realizzati in occasione di un aumento a pagamento del capitale sociale che è già stato deliberato.
I versamenti da parte dei soci, effettuati nelle more dell'iscrizione nel Registro delle Imprese dell'attestazione degli amministratori dell'avvenuto aumento del capitale sociale, vengono inseriti in un conto transitorio, come riserva di capitale, la quale sarà poi imputata al capitale sociale, una volta che l'operazione sarà perfezionata.

3. Versamenti in conto futuro aumento di capitale

Tali versamenti sono effettuati in via anticipata, in previsione di un aumento di capitale a pagamento, che non è ancora stato deliberato. Essi rappresentano un anticipo delle somme relative ad un aumento del capitale sociale a pagamento, futuro perché, appunto, non ancora stabilito; tali versamenti, essendo considerati quali conferimenti di capitale, come capitale di rischio, sono allocati al patrimonio netto, alla voce "altre riserve", distintamente indicati in una specifica sottovoce a ciò destinata, attestante il vincolo di destinazione all'aumento futuro di capitale.
I versamenti "in conto futuro aumento di capitale" sono, quindi, riserve di capitale che possono essere destinate solo a tale scopo; questi sono, dunque, versamenti allocati tra le riserve di capitale aventi uno specifico vincolo di destinazione.
Tali finanziamenti, pur non determinando un immediato incremento del capitale sociale, hanno una causa diversa da quella del mutuo e simile, invece, a quella del conferimento in capitale, che è un conferimento di rischio.
Per distinguere tali versamenti dai prestiti, la Corte di Cassazione ha introdotto il criterio di analisi delle voci di bilancio, ammettendo che, se manca una chiara manifestazione di volontà circa la definizione dei versamenti quali anticipazioni sul futuro aumento di capitale, e non come prestiti, "la chiave di lettura della qualificazione non può che essere ricavata nella terminologia adottata nel bilancio: questo è soggetto all'approvazione dei soci e le qualificazioni che i versamenti hanno ricevuto nel bilancio diventano determinanti per stabilire se si tratta di finanziamento o di conferimento" (così ha precisato da Cass. Civile, sent. dd. 14.12.1998, n. 12539), essendo il finanziamento, a differenza del conferimento (cui i versamenti di cui si tratta sono riconducibili), restituibile ed iscritto tra le passività della societa'.

Tali versamenti sarebbero restituibili ai soci solo al momento dello scioglimento della societa' o del recesso del socio, e solo nel caso in cui vi fosse del residuo attivo nel bilancio di liquidazione.

Se il prestabilito aumento di capitale a pagamento fosse deliberato, in tale occasione si dovrebbe tener conto dei versamenti in conto futuro aumento di capitale quali anticipi di conferimenti già effettuati.

Se, però, l'aumento di capitale non fosse deliberato, oppure sebbene deliberato, non fosse poi attuato, non si avvererebbe la condizione cui sarebbe sottoposto il sopraccitato vincolo di destinazione dei versamenti.
Pertanto, in tale ultima ipotesi, sarebbe necessario analizzare quali potrebbero essere le conseguenze, secondo l'orientamento giurisprudenziale dominante, connesse a tale mancata soddisfazione del predetto vincolo di destinazione, per mancata assunzione della delibera di aumento del capitale a pagamento.
Tale clausola sulla condizione risolutiva potrebbe prevedere, o meno, un termine prestabilito entro il quale la Società dovrebbe deliberare l'aumento di capitale.

La cessione della quota

L'art. 2470 cod.civ. disciplina la circolazione della quota, l'efficacia del trasferimento della quota a terzi e l'onere della relativa pubblicità, ai fini dell'opponibilità di tale trasferimento alla societa'; a seguito dell'abrogazione del Libro Soci, il trasferimento della partecipazione ha effetto di fronte alla societa' dal momento dell'iscrizione dell'atto di cessione nel Registro delle imprese.
Da tale momento il socio cedente perde, nei confronti della societa', la propria qualifica di socio e perde, quindi, ogni diritto connesso alla qualifica.
Essendo il versamento sopra descritto qualificabile come anticipo sul conferimento, l'eventuale diritto alla sua restituzione sarebbe acquistato da chi è qualificabile come socio, quindi il cessionario in caso di trasferimento della quota ed iscrizione nel Registro delle imprese, nel momento in cui il versamento risultasse restituibile (nei sopraccitati casi di scioglimento della società, recesso del socio, avveramento della condizione risolutiva, allo spirare del termine prestabilito o determinato dalle parti o dal Giudice, od al verificarsi di altro fatto concludente).
Se la cessione fosse già avvenuta e fosse già opponibile quando i sopraccitati eventi si dovessero verificare, sarebbe il cessionario a poter esercitare il diritto alla restituzione del versamento.
Ciò in quanto rileva la qualifica di socio, dato che i versamenti in esame, avendo natura di conferimento, attribuiscono al socio il complesso di diritti sociali proprio di ogni conferimento.
Dovrebbe, dunque, tenersi conto di ciò in sede di eventuale contrattazione del prezzo di cessione della quota.

La disciplina di cui all’art. 2467 cod. civ.

L'art. 2467 cod.civ. prevede che il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della societa' sia postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori non soci e se il rimborso e' avvenuto nell'anno precedente la dichiarazione di fallimento della societa' deve essere restituito. 
Per la qualificazione del versamento quale finanziamento ai fini dell'applicabilità della suddetta norma sulla postergazione, determinante è la circostanza che il finanziamento sia avvenuto in condizioni di eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto o di una situazione finanziaria difficile in cui era ragionevole il conferimento, non il prestito.