L'Agenzia delle Entrate ha emanato lo scorso 14 aprile la Circolare n.19/E/2010 con la quale, recependo le indicazioni di quattro sentenze del 2009 delle sezioni unite della Cassazione (nn. 26635, 26636, 26637 e 26638), fornisce indicazioni importanti agli Uffici periferici circa la gestione dei contenziosi pendenti e i prossimi accertamenti da studi di settore.
Le indicazioni che arrivano con la Circolare n.19/E/2010 mettono in primo piano la centralità del contraddittorio con il contribuente.
In tutte le pronunce della Cassazione viene rilevato che solo dopo l’avvio del contradditorio è possibile legittimare l’accertamento derivante dalla verifica di uno scostamento della dichiarazione del contribuente dai valori “standard” elaborati dallo studio in relazione all’attività svolta dal dichiarante.
In questa fase preliminare, si sottolinea nelle sentenze di legittimità, “i segnali emergenti dallo studio di settore (o dai parametri) devono essere "corretti", in contraddittorio con il contribuente, in modo da "fotografare" la specifica realtà economica della singola impresa la cui dichiarazione dell’ammontare dei ricavi abbia dimostrato una significativa "incoerenza" con la "normale redditività" delle imprese omogenee considerate nello studio di settore applicato”. Tutto ciò, nel rispetto del principio del giusto procedimento amministrativo.
Controversie pendenti, la parte del leone al contraddittorio
In caso di mancata attivazione del contraddittorio, gli avvisi d’accertamento relativi agli studi di settore risulteranno “viziati” e gli uffici dell’Agenzia abbandoneranno tutti i relativi contenziosi pendenti. Al contrario, dove si sia cercato il confronto con il contribuente e questo lo abbia rifiutato, si può andare avanti con la pretesa tributaria, sempre che la stessa sia giudicata sostenibile.
Dal contradditorio alla motivazione
L’omessa indicazione delle ragioni per cui non sono stati presi in considerazione gli elementi addotti dal contribuente a prova dell’inapplicabilità dello studio di settore alla propria realtà economica, non inficia la validità della motivazione dell’atto di accertamento, a condizione che le stesse ragioni siano esplicitate dall’ufficio in sede di contraddittorio e scritte nel relativo verbale consegnato al contribuente. È, infatti, sempre il dialogo a prevalere e a confermare il principio di cooperazione tra le parti stabilito dallo Statuto (legge 212/2000).
Nel caso in cui il contribuente invitato al contraddittorio non risponda affatto, la motivazione dell’atto di accertamento potrà basarsi solo sull’applicazione dello studio di settore, con riferimento allo standard applicato. La “reticenza” nell’affrontare il confronto con l’Amministrazione è, infatti, sintomo di presenza dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.
L’onere della prova
In sede di contraddittorio, il contribuente può ribaltare le presunzioni semplici avanzate dall’Agenzia attraverso l’applicazione degli studi di settore (o i parametri), utilizzando tutti gli elementi in suo possesso mentre l’Amministrazione finanziaria, è tenuta a dimostrare l’applicabilità dello standard prescelto al caso concreto oggetto dell’accertamento.