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Gli accordi di ristrutturazione dei debiti dopo il d.l. 83/2012 - 12/10/2012

In questo articolo si evidenzia una novità importante che il Legislatore ha voluto introdurre alla legge fallimentare al fine di incentivare il ricorso a procedure straordinarie di gestione della crisi d’impresa volta ad evitare il fallimento con le conseguenze da esso derivanti.

In via preliminare è doveroso ricordare che la possibilità per l’imprenditore in crisi, per il quale trova applicazione la disciplina della legge fallimentare, di ricorrere all’istituto della ristrutturazione dei debiti è stato introdotto dal d.l. n. 35/2005 convertito dalla Legge n. 80/2005 insieme alla riformulazione del concordato e dell’azione revocatoria fallimentare.

In concreto è offerta al debitore la possibilità di depositare in tribunale un accordo di ristrutturazione dei debiti con i creditori che rappresentano almeno il 60% dei crediti e congiuntamente dovrà essere depositata la relazione di un esperto iscritto all’albo dei revisori contabili sulla fattibilità del piano, una relazione sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell'impresa, l'elenco dei creditori.

L'accordo, soggetto ad omologa da parte del Tribunale, è efficace dalla data della sua pubblicazione nel registro delle imprese; si precisa che se nel 60% è compreso il fisco, allora la domanda deve essere accolta dall'erario prima della pubblicazione nel registro delle imprese.

Dalla data di pubblicazione nel registro delle imprese decorre per 60 giorni il divieto di intraprendere azioni esecutive individuali per i creditori nei confronti del debitore ed il termine di 30 giorni per fare opposizione.

Si segnala, altresì, che non è previsto il divieto di azioni esecutive durante le trattative, ovvero prima della pubblicazione degli accordi nel registro delle imprese; tuttavia il debitore in via giudiziale può richiedere l'istanza di sospensione, che deve essere comunque iscritta nel registro delle imprese. La procedura si conclude, se non vi sono opposizioni, con l'omologa da parte del Tribunale che produce i suoi effetti solo dopo la pubblicazione del decreto nel registro delle imprese.

L'omologazione dà il via alla fase esecutiva della procedura, che però di fatto è lasciata alle norme del diritto privato in materia dei contratti; sarà però facoltà dei creditori estranei, che non vedranno l'adempimento della propria obbligazione, fare istanza di fallimento. Per quanto riguarda invece i creditori aderenti agli accordi, questi potranno richiedere la risoluzione della procedura qualora si verifichi l'inadempimento del debitore, che di fatto non si attiene agli accordi che lui stesso aveva proposto.

La risoluzione del concordato già omologato in caso di successivo fallimento, non dovrebbe tuttavia avere ripercussioni circa gli atti posti in essere in esecuzione di procedura.

Il DL n. 83/2012 convertito dalla Legge 134/2012 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale lo scorso 11 agosto prevede l’esenzione da imposizione fiscale della sopravvenienza da esdebitamento scaturente dagli accordi di ristrutturazione dei debiti ovvero dai piani attestati di cui, rispettivamente, agli artt. 182-bis e 67, comma 3, lett. d), L. fallimentare.

La novità introdotta, tuttavia, limita l’esenzione alla sola “parte che eccede le perdite, pregresse e di periodo” il che pone dei dubbi agli operatori per quanto riguarda la corretta interpretazione della nozione di “perdita di periodo” da considerare ai fini del calcolo della quota esente della sopravvenienza da esdebitamento.

Il dubbio potrebbe essere fugato considerando la finalità degli accordi di ristrutturazione; prima dell’entrata in vigore del citato d.l. 83/2012 l’assenza di una espressa norma di esenzione aveva finito per rendere poco appetibile il ricorso a questo strumento a causa dell’onere fiscale discendente dalla tassazione della sopravvenienza da esdebitamento, che andava ad erodere le risorse da destinare al soddisfacimento degli altri creditori. La ratio dell’intervento normativo, dunque, potrebbe consistere nell’attribuire irrilevanza fiscale alla sopravvenienza attiva nel limite strettamente necessario per evitare che quest’ultima produca l’emersione di un reddito imponibile e, quindi, del corrispondente onere fiscale.

In buona sostanza, la parte esente della sopravvenienza dovrebbe coincidere con l’importo che consente di evitare l’insorgenza di un reddito imponibile escludendo totalmente dal computo l’intera sopravvenienza attiva cosi da evitare, da un lato, l’emersione di un reddito fiscale da assoggettare a tassazione e, dall’altro, l’emersione di una perdita fiscale (suscettibile di essere riportata in avanti) di ammontare superiore a quella che risulta dalla contrapposizione dei costi deducibili con i ricavi imponibili diversi dalla sopravvenienza.

A parere di chi scrive, in un momento decisamente critico dell’economia nazionale ed internazionale, è di fondamentale importanza effettuare un’analisi di bilancio al fine di analizzare lo stato di indebitamento dell’azienda e porre in essere le azioni volte a prevenire una possibile futura crisi aziendale; in pratica, l’opportunità offerta dal Legislatore consente di rideterminare l’entità e la scadenza della debitoria aziendale.